Ho incontrato Joe nel 2006. Mi era sembrato una specie di
esame. Era aprile ed eravamo a Villa Boschi, Verona. La mia prima annata, 2004, era in
commercio da poco. E’ passato Kevin dal mio tavolo, c’era Shawn e
qualcun altro. Ho capito che erano americani e importavano vino.
Per loro era la prima esperienza con il Frappato, per me era
la prima esperienza per tutto e basta.
Ho visto i loro occhi felici, sembrava che avessero scoperto
qualcosa, ma in quel momento io non capivo veramente nulla di espressioni dopo
un assaggio, per cui sorridevo, aspettavo qualche loro parola e andavo avanti. Poi
Kevin mi disse: “Passiamo fra un oretta
con il Boss”. Per noi italiani la parola Boss, vuol dire molto più di capo,
racchiude in se i nostri immaginari italo-americani legati a quei film
polizieschi quando il Boss e suoi fedeli si nascondevano in qualche magazzino
del Bronx, c’era sempre un tavolo lungo, lui che impartiva comandi, fumo di
sigarette che saturava la stanza , accenti a tratti siculi, traffici di droga e
sparatoie per strada. Insomma, questo mi è passato in testa per quella oretta.
Nel frattempo facevo assaggiare i vini agli altri e aspettavo.
Ad un certo punto il gruppo ritorna, formano una specie di
piccola barriera intorno al tavolo che lentamente si apre. Di fronte a me c’era
finalmente il Boss, Joe, con la sua aria seria, sicura, infallibile, di quelli
che sanno dove sono e dove mettono i piedi sempre. Riassaggiamo il vino, quei
due minuti mi sono sembrati interminabili, poi quel sorriso, la testa che va su
e giù e due parole :VERY GOOD.
E’ in quel preciso momento che sono entrata nella squadra.
Non avevo ancora bene capito cosa volesse dire squadra, da un punto di vista
lavorativo. Sapevo giocare a pallavolo, avevo fatto atletica, lo sport ti aiuta
molto in questo, ma in quel momento mi mancavano dei tasselli. Quella squadra
era una famiglia, un gruppo nel quale vige la regola: Cresco io, Cresci tu. Il
concetto di INSIEME, dove ogni cosa la si programma o spesso non la si
programma nemmeno, ma esce spontanea e aiuta tutti.
Joe era riuscito a creare questo. Aveva i suoi modi, il suo
humor, ti faceva ridere tanto e a volte era ermetico. Aveva una conoscenza sui vini che ho trovato veramente in pochi, un intuito che
lo si ha o non lo sia ha. Ha contribuito fortemente a cambiare il modo di bere
negli States, ha tirato fuori una selezione di vini sorprendente negli anni, ha
fatto sempre delle cose più che speciali, sino all’ultimo momento della sua
vita. Il vino per lui era tutto, era famiglia, era Denyse, era Jules, Alyce, era
alimento puro giornaliero. Era l’estate trascorsa con loro in Francia, lontano
da New York che tanto amava, e vicino ai suoi produttori. Da lì produceva idee,
sino all’ultima grande cosa che ci ha lasciato, il suo blog The Amazing Misadventures of Captain Tumor Man.
Solo lui riusciva a fare di una cosa così assurda della vita, una virtù. Un
grande insegnamento: la vita deve essere libertà ed espressione di noi stessi, del senso che vogliamo darle e fino all’ultimo non dobbiamo perdere la speranza. Joe mi voleva bene e
l’ultimo abbraccio fu accompagnato da questa frase: “Non avrei mai pensato che
i tuoi vini potessero fare così tanto qui, avevo capito qualcosa, ma siamo
andati oltre le nostre aspettative. Sono fiero di te”
Solo questo è il vero senso del mio lavoro. Il legame con la
vita, con alcuni luoghi, con le persone. Grazie Joe.