giovedì 7 maggio 2009

Il laboratorio segreto dell'architettura












Non c'ero ieri pomeriggio alla presentazione presso la libreria Aleph di Siracusa, ma mi sembra giusto che Fabrizio possa leggere qui due parole su di lui, sul suo libro, sulla sconsiderevole passione che mette nelle sue cose. “Il laboratorio segreto dell'architettura” , di Fabrizio Foti , LetteraVentidue edizioni.

Mi capita sempre più spesso ultimamente di legare il vino all'architettura, le due cose si impastano, si intrecciano spesso e ne risulta sempre qualcosa di estremamente connesso , non per nulla estraneo, quasi una continuazione in altra forma di ciò che è agricoltura in cultura. E le mie discussioni con Fabrizio spesso sono anche questo.

Parlo di Fabrizio e del suo libro qui, attraverso anche le parole di Pier Vittorio Aureli, parlo della sua ricerca e viscerale studio su Le Corbusier, di un libro nato da un continuo assaporare quello che per lui è il più alto ricongiungimento architettonico.
Ognuno di noi coltiva una passione, ha un modello, un punto di partenza dalla quale nascone le cose, nella vita e nel lavoro,qualcuno da ammirare e che in molti casi rappresenta il nostro slancio. Le cose da noi vengono successivamente filtrate, creando i nostri modi di dire, di fare, e di ricreare in chiave diversa.
Così è nel vino e in chi lo fa, così è in chi persegue l'architettura e l'arte e ne fa ragion di vita.
Mi sono piaciute queste parole all'inizio del libro: “"Sono un architetto.
Ma sono (o almeno mi sento di essere) anche un pittore.
Da tempo mi interrogo sui termini del confronto dialettico tra le due attività e su quali possano esserne i rispettivi punti di incontro. Quali le opportunità che perseguibili concordanze possano stabilire. Ma soprattutto, mi sono sempre chiesto, l’interazione tra queste discipline quali significativi risultati potrebbe raggiungere.
Questa ricerca, pertanto, consiste in una occasione di indagine sul legame tra arti plastiche e progetto di architettura".

Poi Pier Vittorio Aureli lo commenta così: “Più di ogni altra sfera del sapere, l’architettura appare come l’arte di mettere assieme le cose, ovvero l’arte di comporre non solo materiali e forme, ma anche azioni, saperi, concetti e soggetti molteplici. Da questo fatto emerge la difficoltà dell’architettura, la sua precaria riconoscibilità come pratica, la sua impossibile (eppure necessaria) autonomia in quanto forma di pensiero. La divisione del lavoro, la tecnicizzazione del sapere imposta dalla civiltà industriale e, infine, la frammentazione continua dei processi di produzione provocata dal Leviatano capitalista, hanno minato l’idea stessa di architettura ben oltre lo spazio ovvio della sua produzione materiale. In fondo la frammentazione dell’architettura, quale riflesso di una frammentazione oramai totalizzante delle cose, si riproduce oggi a partire dalla nostra stessa mente, e cioè nella nostra difficoltà di concentrarci, di organizzare il pensiero, vale a dire nella nostra (in)capacità di assumere quello che Erwin Panofsky avrebbe chiamato un “mental-habit”. Di fronte a questo scenario, si potrebbe sostenere che obiettivo dell’architettura dovrebbe essere - ancor una volta - non tanto (o non solo) quello di costruire, quanto quello di pensare. La priorità del pensiero si dovrebbe imporre proprio perchè, in un’epoca come la nostra, è lo spazio apparentemente intimo, “segreto”, immateriale del pensiero, inteso nella sua facoltà primaria di spazio cognitivo, ad essere la posta in gioco contesa tra le forze oggettive della ri-produzione e le forze soggettive della poetica. È proprio nel punto strategico di questa contesa che s’inserisce il libro di Fabrizio Foti su Le Corbusier”
Ciao Fabri spero di rileggerti presto.

www.letteraventidue.com

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